08 luglio 2012

Lima capital

Lima no es, aunque insista en serlo, el Perú, pero esto es cuestión aparte. No cabe la menor duda, en cambio, que desde ella se irradia a todo el país un lustre que desdichadamente no es del esclarecimiento. Hace bastante tiempo que Lima dejó de ser - aunque no decaigan los enemigos de la modernidad, la cual, sin embargo ha otorgado aún a nostálgicos y pasadistas sus automóviles sus transistores sus penicilinas, sus nylon, etc. - la quieta ciudad regida por el horario de maitines y ángelus, cuyo acatamiento emocionaba al francés Radiguet. Se ha vuelto una urbe donde dos millones de personas se dan de manotazos, en medio de bocinas, radios salvajes, congestiones humanas y otras demencias contemporáneas, para pervivir. Dos millones de seres que se desplazan abriéndose paso - Francisco Monclova ha llamado la atención sobre el contenido egoísta de esta expresión coloquial - entre las fieras que de los hombres hace el subdesarrollo aglomerante. El caos civil, producido por la famélica concurrencia urbana de cancerosa celeridad, se ha constituido, gracias al vórtice capitalino, en un ideal: el país entero anhela deslumbrado arrojarse en él, atizar con su presencia el holocausto del espíritu. El embotellamiento de vehículos en el centro y las avenidas, la ruda competencia de buhoneros y mendigos, las fatigadas colas ante los incapaces medios de transporte, la crisis del alojamiento, los aniegos debidos a las tuberías que estallan, el imperfecto tejido telefónico que ejerce la neurosis, todo es obra de la improvisación y la malicia. Ambas seducen fulgurantes, como los ojos de la sierpe, el candor provinciano para poder luego liquidarlo con sus sucios y farragosos absurdos.
(Sebastián Salazar Bondy, Lima la horrible)


Lima non è, anche se insiste nel voler esserlo, il Perù, però questa è un'altra questione. Non c'è dubbio, invece, che da essa s'irradi a tutto il paese un bagliore che, sfortunatamente, non rischiara. Da tempo Lima ha smesso di essere - anche se non vengono meno i nemici della modernità, che, senza dubbio, ha fornito anche ai nostalgici e a coloro che sono attaccati al passato, le loro macchine i loro transistors la loro penicillina, il loro nylon, ecc... - la quieta città regolata dagli orari delle preghiere mattinali e dagli angelus, il cui rispetto emozionava il francese Radiguet. È diventata una città nella quale due milioni di persone [oggi, nel 2012, più di 7 milioni - n.d.r.] si danno schiaffi, in mezzo ad altoparlanti, radio selvagge, congestioni umane e altre demenze contemporanee, per sopravvivere. Due milioni di esseri che si muovono facendosi strada - Francisco Monclova ha richiamato l'attenzione sul contenuto egoista di questa espressione colloquiale - tra le bestie che degli uomini fa il sottosviluppo agglomerante. Il caos civile, prodotto dalla famelica concorrenza urbana di cancerosa celerità, è diventato, grazie al vortice capitalino, un ideale: l'intero paese anela abbagliato a tuffarvisi dentro, ravvivare con la sua presenza l'olocausto dello spirito. L'imbottigliamento di veicoli nel centro e per le strade, la rozza competizione tra venditori ambulanti e mendicanti, le stancanti code per gli inadeguati mezzi di trasporto, la crisi degli alloggi, gli allagamenti provocati dallo scoppio delle tubazioni, l'imperfetta rete telefonica che causa la nevrosi, tutto è opera d'improvvisazione e di malizia. Entrambe seducono folgoranti, come gli occhi del serpente, il candore degli abitanti della provincia, per poi poterli liquidare con le sue oscene e caotiche contraddizioni.

Arriba del cerro

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