18 maggio 2012

Effetti collaterali


Era uno degli imprevisti a cui sinceramente non avevo pensato, quando ho accettato di partire per Lima.

Erosione della dimensione individuale con conseguente erosione degli spazi di scarica della tensione e cortocircuito del cervello fragile (il mio). Non è più possibile rendersi anonimi tra la folla, immergersi nei propri pensieri senza essere riconosciuti, senza stare perennemente al centro del cono di luce della ribalta, non ti lasciano scivolare nell'ombra, anonima, avvolgente, sicura, che ti permette di essere nessuno in mezzo alla gente, di schermare le emozioni, i pensieri, di lasciare correre via le ubbie, di abbassare la febbre celebrale stemperandola con il rilassante nulla che ti viene dall'essere nessuno.

Qui sono sempre gringa, europea, incredibilmente bianca e pallida, con gli occhi più chiari di sempre.
Sono sempre in compagnia, dal momento in cui mi alzo, a quello in cui vado a dormire.

Sono arrivata al punto in cui non desidero forse nemmeno più stare sola: mi assuefaccio abbastanza rapidamente alla presenza delle persone e se dopo anni di solitudine pensavo di essere diventata un'irrecuperabile misantropa, mi scopro invece molle e facilmente adattabile all'onnipresenza delle persone.

Mi alzo presto la mattina, vado in ufficio, lavoro fino a sera, quando torno ceno e striscio a letto: per la prima volta in vita mia, non ho tempo di pensare. E mi piace. Mi fa vivere rilassata.

Mi viene chiesto come mi sento, ma in realtà non credo di saperlo. E nemmeno lo voglio sapere. Voglio solo vivere, fare e lasciarmi fare, lasciarmi vivere, assorbire tutto quello che di utile e buono posso e rigettare tutto il resto, espellere tutto ciò che è tossico per il mio cervello inquieto, per il mio cuore permeabile.

Non pensare.
O meglio, non pensare a cose che mi diano ansia.

Non importa come mi sento: adesso importa solo quello che faccio.

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