13 maggio 2011

ONG 2.0?

Avevo deciso di cambiare la tesi del mio master, perché, dopo alcune esperienze recenti, avevo concluso che una tesi sulla comunicazione esterna di un ONG sarebbe stata affascinante e accademicamente più interessante che una compilativa sul diritto all'acqua, fatta su qualche report già stilato da persone molto più competenti di me sul tema.

In particolare, avevo pensato di fare uno studio di caso e analizzare come Intermón Oxfam ha comunicato (e continua a comunicare) la campagna "Qué no paguen los de siempre" (Che non paghino sempre gli stessi) riguardante la Tassa Robin Hood.

Mi è stato risposto che "la comunicazione non è una delle linee investigative prioritarie dell'Istituto".

Con l'arroganza che mi contraddistingue quando mi trovo a che fare con persone ottuse, ho ribattuto che questo è infatti un grande errore e che gli effetti si notano (specialmente con riferimento all'orrenda pagina di internet che si ritrovano, dove è impossibile anche solo cercare informazioni esaurienti sui corsi e trovare il contatto e-mail è più una caccia al tesoro). Ho aggiunto inoltre che questo è un tema che saranno costretti a maneggiare nei prossimi anni, se vorranno rimanere in carreggiata e che uno dei (numerosi) problemi attuali della cooperazione è precisamente questa ottusa sottovalutazione del ruolo che gioca la comunicazione anche in questo settore.

Non è un caso che le ONG si rivolgano sempre più spesso ad agenzie esterne per gestire la propria comunicazione, specialmente per quanto riguarda le reti sociali, perché spesso non hanno le conoscenze adeguate per muoversi efficacemente in questo settore.

In ogni caso, non credo che la soluzione sia da cercare all'esterno, nel senso che non c'è niente di meglio di un interno per capire e interpretare le esigenze di un'organizzazione. Quello che è indispensabile, però, è che questo interno abbia competenze specifiche nel settore e possa dedicare il suo tempo a gestire la comunicazione in maniera sociale e professionale, senza doversi preoccupare anche, come succede ad oggi nella maggior parte dei casi, di comunicati stampa, brochure, relazioni con i giornalisti, ecc… e di tutti quei compiti che ben conosce chi lavora in un ufficio comunicazione di una ONG.

Un altro punto cruciale, è che "le alte sfere" dovrebbero essere un po' più flessibili e lasciare più libertà a chi si occupa di gestire il profilo in rete di un'associazione. È assolutamente comprensibile e condivisibile la preoccupazione di mantenere un'immagine coordinata coerente e trasparente, poiché può bastare un solo errore per incrinare anni di buone pratiche e di lavoro assolutamente corretto e limpido, ma d'altro canto non si può pensare nemmeno di usare in maniera gerarchizzata e strettamente controllata strumenti che per propria natura sono dislocati, decentralizzati e condivisi.

Le ONG e le associazioni in generale capiscono l'esigenza di rendersi visibili e attivi in rete, ma non si "lasciano andare" ai meccanismi della rete, vogliono continuare (almeno nella maggior parte dei casi) a mantenere uno stretto controllo su tutto ciò che viene "esternato" e diffuso al di fuori di esse.

Purtroppo non si possono salvare capra e cavoli: una delle sfide più interessanti dei prossimi anni, perciò, sarà proprio quella di coniugare l'ottimo lavoro che molte organizzazioni fanno, a seconda della propria mission, e la comunicazione di tale lavoro, delle proprie attività, dei propri valori, in maniera efficace e realmente partecipata e condivisa, obiettivo dal quale, almeno dal mio punto di vista, sono ancora abbastanza lontane.

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