29 settembre 2009

Il popolo delle libertà

Viviamo in un epoca dove uno dei termini più (ab)usato è libertà.
Perseguirla in qualsiasi campo è l'obiettivo che si prefiggono tutti, la meta verso la quale tutti corrono e per la quale s'impegnano. Questo almeno a parole.
E' innegabile che siamo più liberi di tante altre persone, che non stiamo rivivendo gli avvenimenti di 70-80 anni fa (anche se potremmo aprire un interessante capitolo sul concetto di autoritarismo) e che in generale la nostra società ha sdoganato molti usi e costumi che un tempo venivano censurati o autocensurati, ma più mi guardo intorno e dentro, più vedo che siamo schiavi.
Tralasciando tutte le implicazioni politiche di quello che sto dicendo, che potrebbero tranquillamente costituire il tema di un trattato di politologia o di sociologia, mi soffermerei invece sul lato privato, intimo e personale della questione, per esempio quello dei rapporti interpersonali.

Proprio da qui è partita la mia riflessione, osservando come la maggior parte delle persone non voglia legarsi "troppo" a un'altra per paura che questa costituisca un limite alla propria libertà.
Ci avviciniamo all'altr@, ma mantenendo la distanza di sicurezza. Frequentarsi, ma non troppo. Amare al 40%, come Pina Sinalefe.
Ci sono un sacco di regole in questo tango sbagliato, dove le persone, invece che adattare un corpo all'altro, anca contro anca, trovando quell'equilibrio d'insieme che ti permette di ballare, si scontra, si respinge e va a finire fuori tempo.

Non si può dire "stiamo insieme", ma "ci frequentiamo".
Non si possono fare progetti che vadano oltre il mese. Niente progetti a lungo termine, quelli sono da allarme rosso.
Niente "ti amo". E anche il "ti voglio bene" certe volte è fuori luogo.
Però il sesso va bene, e se si fa in abbondanza ancora meglio. Per quello non ci sono né limitazioni né controindicazioni, basta che sia sesso libero e senza promesse o sottointesi.

Ovviamente questi sono i casi limite, lo sappiamo, ma quanta gente avete incontrato così? Io molta e sempre in numero crescente, purtroppo. Sempre più persone che la pensano e si comportano così, convinti che questo significhi essere liberi e difendere la propria libertà.

E invece per me non sono mai stati più schiavi di così. Li osservo, mi osservo e penso che mi fanno pena, che mi mettono tanta tristezza.
Perché non sono liberi e fanno sì che nemmeno io sia libera: di dare un bacio se ne ho voglia, o un abbraccio, o dire ti amo senza essere terrorizzata dall'effetto che potrebbe avere sull'altr@ questa mia dichiarazione.
Non sono liberi e non mi fanno essere libera di esprimere quello che sento, di fare quello che voglio nel momento esatto in cui ne ho voglia, si costringono e mi costringono ad essere artefatta, a reprimere tutti i gesti spontanei, liberi davvero, che non necessariamente hanno dei messaggi sotto, o nascondono intenzioni, o richiedono promesse.
Perché non si concepisce il fatto che magari ho voglia di dirti che ti voglio bene qui, in questo momento, ora, pur sapendo che tra un mese potremmo non stare più insieme o non essere più amici.

Nessuno può avere la certezza che quello che c'è ora, ci sarà anche domani. E questo vale per qualsiasi cosa.
Allora devo smettere di esternare i miei sentimenti, di dire quello che penso, di condividere quello che ho dentro?
A me sembra questa, la vera schiavitù.
Reprimere, soffocare la propria libertà d'espressione, tacere: questo è ciò che limita la mia libertà.

Questa è una generazione di schiavi.
Siamo un popolo sotto schiavitù, altro che popolo delle libertà!
E se andiamo avanti di questo passo, ci perderemo tutte le cose che rendono la vita degna di essere vissuta.






1 commento:

Anonimo ha detto...

we are slaves of the society
non si può essere liberi in un mondo dove l'acqua e il pane sono a pagamento
per mangiare bisogna pagare: secondo me questa è la dimostrazione del nostro assoggettamento